RINCHIUSA IN MANICOMIO PERCHÉ DISOBBEDIENTE: LA VERA STORIA DI ROSSANA FALCIATORI

La testimonianza di Rossana Falciatori è una delle più lucide e strazianti sul potere distruttivo che le istituzioni possono esercitare quando si pongono al servizio del controllo, non della cura.

Trent’anni di internamento nel manicomio di Santa Maria della Pietà, a Roma, solo perché una donna non si conformava al modello di moglie obbediente: una vicenda che non è un’eccezione, ma parte di una sistematica violenza culturale e medica che ha colpito migliaia di italiane nel Novecento.

Il manicomio, nato nell’Ottocento e rimasto attivo fino alla legge Basaglia (L. 180/1978), rappresenta uno dei simboli più evidenti della negazione della libertà femminile.
Per decenni, diagnosi arbitrarie come “isteria”, “nervosismo”, “indocilità” o “eccessiva loquacità” bastavano a legittimare un internamento. Bastava la firma di un marito, di un padre o di un medico compiacente.
Dietro il linguaggio clinico si celava un giudizio morale: le donne “troppo vive” dovevano essere contenute, sedate, silenziate.

La storia di Rossana si inserisce in un quadro più ampio, dove la psichiatria è stata spesso strumento di potere, non di guarigione. Le “camicie di forza” non erano solo fisiche: erano simboliche, culturali, sociali.
Santa Maria della Pietà era una città separata, con oltre 30 padiglioni, dove la vita si spegneva lentamente. La voce delle internate non usciva, i loro corpi erano spogliati di identità e la malattia diventava un pretesto per cancellare la disobbedienza.

La legge Basaglia ha abolito formalmente i manicomi, ma la vicenda di Rossana ricorda che la libertà mentale e la dignità personale restano conquiste fragili.
Molte donne, dopo la chiusura, non riuscirono a reintegrarsi, segnate da anni di isolamento e farmacologizzazione forzata.
La sua frase — “Non ero pazza, ma a forza di stare lì ci diventi” — sintetizza la logica perversa di un sistema che produceva follia per giustificare se stesso.

Oggi, a Castel di Guido, la voce di Rossana è una memoria viva di ciò che lo Stato e la medicina non devono più essere: autorità che zittisce, piuttosto che ascoltare.
Il suo racconto è anche un atto di giustizia simbolica per tutte le donne dimenticate tra le mura del Santa Maria della Pietà e di altri manicomi italiani.

Da Sara Palazzotti

Caregiver Familiare  

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